Sale a 25,2 miliardi il business delle agromafie che nel giro di poco più di un decennio ha praticamente raddoppiato il volume d’affari, recuperando in breve tempo il terreno perso con la pandemia ed estendendo la sua azione a sempre nuovi ambiti, dal caporalato alla falsificazione e sofisticazione dei prodotti alimentari, dal controllo della logistica all’appropriazione di terreni agricoli e fondi pubblici, fino all’usura, al furto e al cybercrime.
E’ il quadro delineato dal nuovo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio agromafie.
“Il settore agroalimentare è diventato sempre più attrattivo per le organizzazioni criminali che, secondo quanto illustrato nel rapporto, aumentano sempre più i tentativi di estendere i propri tentacoli su molteplici asset legati al cibo – ha affermato il Presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco -. Le agromafie usano le pieghe della burocrazia per promuovere il credito illegale, acquisire aziende agricole e riciclare denaro, mentre gli imprenditori subiscono minacce e danni per cedere terre e attività, anche a causa della crisi legata alle tensioni internazionali e all’aumento dei costi di produzione che ha caratterizzato questi ultimi anni, indebolendo molte imprese”.
Per Coldiretti la filiera agroalimentare parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso.
“Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, e se settori deviati della GDO o dell’industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga, e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli – ha aggiunto il Direttore Coldiretti Alessandria Roberto Bianco -. Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie che oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardi. È stata la prima e unica organizzazione agricola a sostenere con forza la legge sul caporalato. Allo stesso modo denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il rapporto. Si va dal caporalato trasnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L’Europa dovrebbe puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano”.
Un altro fenomeno insidioso è rappresentato dall’italian sounding, ovvero il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome o segni distintivi sulla confezione ma che in realtà non hanno alcun legame produttivo con il nostro Paese. Un mercato che ha raggiunto il valore record di circa 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale. Ma a danneggiare gli agricoltori e i consumatori italiani è anche l’italian sounding di casa nostra, quella zona grigia dove, grazie al principio di ultima trasformazione contenuto nell’attuale codice doganale, è consentito spacciare per cibo italiano quello che italiano non è.
Uno scandalo che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere per chiedere un cambio di passo, con una raccolta di firme per una legge popolare che garantisca l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea.