26 Novembre 2012
Meno di un mese al Natale e la crisi continua a non allentare la presa

Sarà un Natale all’insegna della sobrietà e dell’austerity anche nella provincia alessandrina.          
La crisi economica taglia i budget di spesa per i regali di Natale. Gli alessandrini  spenderanno per regali in media 263,6 euro, con un calo del 9 per cento rispetto allo scorso anno con un  39 per cento della spesa destinato ai più piccoli tra i quali prevalgono i giocattoli e nuove tecnologie, mentre tra i più grandi abbigliamento ed accessori la fanno da padroni, anche se in calo rispetto al Natale 2011.
La situazione di crisi ed il contenimento delle tredicesime favorisce un clima di sfiducia che – affermano il presidente e il direttore della Coldiretti alessandrina Roberto Paravidino e Simone Moroni - porta a una riduzione della spesa complessiva che penalizza soprattutto i regali che subiscono un taglio record dell’8,6 per cento e dei divertimenti (-0,3 per cento) mentre tiene l’acquisto di cibo (+2,1 per cento)”.
In tavola crollano le mode esterofile del passato pagate a caro prezzo come champagne, caviale, ostriche, salmone o ciliegie e pesche fuori stagione a favore dell’aumento di prodotti Made in Italy magari a chilometri zero.
Saranno stappate il 24 per cento in meno di bottiglie di champagne,  calano caviale e surrogati del 12 per cento e tende a scomparire anche la frutta esotica con ananas, manghi, avocado e datteri in calo del 12 per cento, sulle base delle tendenze emerse dalle elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi alle importazioni nei primi sette mesi dell’anno.
“Si assiste – aggiungono Paravidino e Moroni - ad una fortissima attrazione verso la riscoperta del legame con i prodotti del territorio che si esprime sempre di più attraverso la preparazione delle ricette del passato che nonostante i profondi cambiamenti negli stili di vita rimangono fortemente radicati nella popolazione”.
Il crollo della fiducia dei consumatori pesa sulla shopping natalizio per regali, cibo e divertimento che è stimato in calo del 3,7 per cento, con effetti negativi sulle opportunità di ripresa dell'economia.
L’esigenza di risparmiare aumenta anche il rischio contraffazione per i prodotti più gettonati sotto l’albero, dalla moda ai giocattoli, dalle nuove tecnologie agli alimenti.
Si tratta di oggetti a forte rischio contraffazione che in Italia, secondo il rapporto Mise/Censis, sviluppa un giro d'affari complessivo di 6,9 miliardi, di cui 2,5 miliardi nell'abbigliamento e negli accessori, 1,8 miliardi per i cd e dvd, 1,1 miliardi per l’alimentare, 850 milioni di euro per materiale elettrico ed informatico e 29 milioni per i giocattoli.
Tra gli articoli contraffatti che tentano i cittadini ci sono anche  gli oggetti tecnologici (14 per cento) e i ricambi meccanici (6 per cento) mentre c’è una grande diffidenza nei confronti di medicinali e cosmetici (1 per cento), giocattoli (1 per cento) e alimentari (1 per cento).
“Nel caso degli alimentari, a differenza degli altri prodotti, più spesso la vendita di prodotti taroccati avviene – precisano Paravidino e Moroni - all’insaputa dell’acquirente ed è per questo ancora più grave. Le frodi a tavola si moltiplicano proprio nel tempo della crisi soprattutto con la diffusione dei cibi low cost e sono crimini particolarmente odiosi perché si fondano sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono costretti a risparmiare sugli acquisti di alimenti mettendo a rischio la propria salute”.
Le preoccupazioni riguardano anche il fatto che l'Italia è un forte importatore di prodotti alimentari, con il rischio concreto che nei cibi in vendita vengano utilizzati ingredienti di diversa qualità come il concentrato di pomodoro cinese, l'extravergine tunisino, le mozzarelle taroccate ottenute da latte in polvere, paste fuse e cagliate provenienti dall'estero.
Nei primi sette mesi dell’anno sono state importati dalla Cina oltre 50 milioni di chili di pomodori conservati destinati con la rilavorazione industriale a trasformarsi magicamente in prodotti Made in Italy perché non è ancora obbligatorio indicare in etichetta la provenienza della materia prima.
“Gli ottimi risultati dell'attività di contrasto messa in atto dalla Magistratura e da tutte le forze dell'ordine impegnate confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall'obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale all'inizio dell'anno approvata all'unanimità dal Parlamento italiano, ma non ancora applicato”, hanno aggiunto Paravidino e Moroni.
Una priorità anche per chiedere più trasparenza a livello internazionale dove i prodotti alimentari italian sounding sviluppano un fatturato di 60 miliardi di euro pari al doppio del valore delle esportazioni del prodotto originale.

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