La guerra in Ucraina taglia fino al 10% le razioni di cibo a mucche, maiali e polli negli allevamenti italiani che si trovano a fronteggiare la peggiore crisi alimentare per gli animali dalla fine del secondo conflitto mondiale a causa dell’esplosione dei costi dei mangimi e del blocco alle esportazioni di mais dall’Ucraina ed anche dall’Ungheria, con una decisione unilaterale di Budapest che compromette il mercato unico europeo e mina le fondamenta stesse dell’Unione Europea.
Una problematica che assume ancora più criticità sul territorio alessandrino a causa della drammatica situazione legata alla peste suina, alle difficoltà per il mancato ritiro dei capi da parte dei macelli e la conseguente speculazione sui prezzi.
In provincia di Alessandria, su di un territorio prevalentemente cerealicolo, conosciuto e apprezzato per i suoi vigneti, noccioleti, frutta e verdura, le stalle sono circa 2.000 suddivise in 1.200 stalle con bovini, 400 con suini e 400 con volatili da cortile, conigli, capre, cavalli. Numeri strategicamente importanti che rappresentano il 14% degli allevamenti piemontesi, per un settore, la zootecnia, che va difeso e tutelato.
E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti in riferimento alla drammatica situazione nelle fattorie che sono costrette a lavorare in perdita per riuscire a nutrire i propri animali per effetto della carenza di materie prime.
La decisione degli allevamenti sta provocando effetti sulle forniture alimentari con riduzioni della produzione di latte, carne e uova in un’Italia che è già pesantemente deficitaria in tutti i settori dell’allevamento e produce appena il 51% della carne bovina, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
“Con la decisione dell’Ungheria di ostacolare le esportazioni nazionali di cereali, soia e girasole, è a rischio un allevamento tricolore su quattro che dipende per l’alimentazione degli animali dal mais importato dal Paese di Orban e dall’Ucraina che hanno di fatto bloccato le spedizioni e rappresentano i primi due fornitori dell’Italia del prezioso e indispensabile cereale”, ha affermato il Presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco.
Dall’Ungheria sono arrivati in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021 mentre altri 0,65 miliardi di chili dall’Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili che rappresentano circa la metà delle importazioni totali dell’Italia che dipende dall’estero per oltre la metà (53%) del proprio fabbisogno, secondo le analisi della Coldiretti.
L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale, approfittando dei bassi prezzi degli ultimi decenni, anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti.
Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi: dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame. L’aumento delle quotazioni dei cereali, ai massimi da un decennio, sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi a fronte di compensi fermi su valori insostenibili.
“E’ a rischio il futuro della fattoria italiana, se non vengono riconosciuti i giusti compensi che tengano conto dei costi di produzione sempre più alti, dalla bolletta energetica ai mangimi – ha aggiunto il Direttore Coldiretti Alessandria Roberto Bianco -. La stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale: quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate, dall’interno alla montagna”.